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In questa prima uscita di The Macro Letter non mi soffermerò sui temi che dominano le cronache economiche: non parlerò di dazi, tariffe, delle mosse della FED, dei tassi di interesse o delle tensioni geopolitiche che agitano i mercati globali.
Questi argomenti, per quanto cruciali, sono solo frammenti di un quadro più ampio, spesso usati per distrarre o confondere. Oggi voglio prima di tutto affrontare qualcosa di molto più importante, una questione che tocca le fondamenta stesse del nostro sistema economico e sociale: la promessa tradita della mobilità sociale e l’esclusione di un’intera generazione – in Italia e nel mondo – dall’accesso alla proprietà e alla creazione di valore.
È una frattura profonda, che non si risolve con aggiustamenti tecnici o proclami politici, ma che richiede una riflessione radicale e un’azione coraggiosa, da parte dei giovani e di chi ha la responsabilità di costruire un futuro per i propri figli. Preparatevi a guardare oltre i titoli di giornale: questa è una lettera per chi è pronto a costruire, non a lamentarsi.
Non è per mancanza di ambizione, disciplina o tenacia che i Millennials hanno iniziato a dubitare del capitalismo.
Il loro scetticismo non è il frutto di una fragilità generazionale, ma di una verità più cruda e innegabile: la scala che era stata loro promessa per ascendere alla mobilità sociale non era semplicemente danneggiata o incompleta.
Era stata smantellata del tutto, sostituita da un sistema che esigeva una fede cieca in regole obsolete senza offrire un reale accesso alla proprietà, al capitale o alle opportunità di costruzione di ricchezza. Questa non è una lamentela nostalgica o un capriccio giovanile.
È una frattura strutturale, profonda e sistemica, che ha ridefinito ogni aspetto della vita economica e professionale dei Millennials, e in misura crescente anche della Gen Z, a partire dalla crisi finanziaria globale del 2008. Quella crisi non è stata solo un evento economico, ma un punto di svolta che ha smascherato l’illusione di un patto sociale ormai eroso: l’idea che il duro lavoro, l’istruzione e la dedizione potessero garantire una traiettoria prevedibile verso la stabilità e la prosperità.
Per quasi due decenni, i Millennials hanno vissuto aggrappati a una promessa che si è rivelata sempre più vuota. Gli era stato detto che una laurea sarebbe stata il biglietto d’ingresso per una carriera gratificante, che la fedeltà aziendale fantozziana avrebbe portato a promozioni e sicurezza finanziaria, che un risparmio scrupoloso avrebbe permesso di acquistare una casa o investire nel futuro. Ma mentre si sforzavano di seguire queste regole, il terreno sotto i loro piedi si è spostato. Il prezzo per entrare nel gioco della vera ricchezza – che si tratti di proprietà immobiliare, mercati finanziari o opportunità imprenditoriali – è schizzato verso l’alto a una velocità che il solo impegno individuale non poteva tenere il passo.
I numeri parlano con una chiarezza disarmante. Negli Stati Uniti, il debito studentesco ha raggiunto la cifra stratosferica di 1,7 trilioni di dollari nel 2024, con il 45% dei Millennials che fatica a ripagare i prestiti (Federal Reserve). In Italia, la situazione non è meno drammatica: il costo medio di un immobile nelle grandi città come Milano o Roma è aumentato del 30% più velocemente dei salari reali dal 2000, rendendo l’acquisto di una casa un miraggio anche per famiglie con doppio reddito (Nomisma, 2024).
I salari reali, nel frattempo, sono stati erosi dall’inflazione degli asset: mentre il costo della vita cresceva, il potere d’acquisto delle nuove generazioni si è contratto, intrappolandole in un ciclo di precarietà finanziaria. In Italia, il salario medio dei giovani sotto i 35 anni è inferiore del 20% rispetto a quello dei loro coetanei negli anni ’90, e il tasso di disoccupazione giovanile, sebbene in calo, resta tra i più alti d’Europa, al 20,5% nel 2024 (ISTAT).
Le opportunità di investimento, come quelle nei mercati azionari o nelle startup, sono sempre più riservate a chi possiede già capitale o connessioni, lasciando i nuovi arrivati esclusi ancor prima di poter iniziare.
In Italia, questa esclusione è aggravata da un contesto economico e sociale unico. La dipendenza dalle piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, limita l’accesso a carriere meritocratiche per chi non ha reti di conoscenze. Il sistema bancario, tradizionalmente cauto, rende difficile ottenere finanziamenti per nuove iniziative imprenditoriali, specialmente per i giovani senza garanzie patrimoniali. Inoltre, la cultura del “posto fisso” – ancora radicata in molte famiglie italiane – scoraggia l’assunzione di rischi imprenditoriali, spingendo i giovani verso percorsi sicuri ma sempre meno remunerativi.
A differenza degli Stati Uniti, dove piattaforme come Robinhood hanno democratizzato l’accesso ai mercati finanziari, in Italia solo il 30% degli italiani sotto i 40 anni ha operato in strumenti finanziari diversi dai conti di risparmio (Consob, 2023).
Questo contesto rende l’Italia un caso emblematico di come il vecchio patto economico sia stato non solo infranto, ma reso quasi inaccessibile dalle specificità strutturali del Paese.
Di fronte a questa realtà, c’è chi liquida il malcontento come un capriccio immotivato, come se il peso del debito fosse un rito di passaggio inevitabile, come se l’esclusione dalla proprietà immobiliare fosse una colpa individuale, come se voltare le spalle a un sistema che ti respinge fosse un segno di debolezza piuttosto che di lucidità. Ma queste critiche mancano il punto. Non si tratta di una mancanza di resilienza o di una ribellione immatura. È una presa di coscienza collettiva: il sistema non è rotto per errore, ma è stato ridisegnato per funzionare esattamente così, concentrando la ricchezza e l’accesso nelle mani di pochi mentre agli altri si chiede di continuare a credere in una promessa ormai svuotata.
La questione è più complessa e più incendiaria di quanto possa sembrare a prima vista. Ciò che stiamo osservando non è solo una reazione emotiva a tempi difficili, né un effetto collaterale della polarizzazione politica o delle bolle informative create dai social media. Sotto la superficie si muove qualcosa di più profondo, un cambiamento strutturale nell’atteggiamento e nelle scelte delle nuove generazioni. I segnali sono inequivocabili: non è una ribellione culturale contro il capitalismo, ma un ritiro strategico dalle sue versioni più inique e inaccessibili.
Questo riposizionamento deliberato si manifesta in una serie di trend chiari e misurabili. Il lavoro freelance, ad esempio, è esploso: negli Stati Uniti, il 50% dei Millennials lavora in modalità autonoma o su piattaforme come Upwork e Fiverr (Upwork, 2023), mentre in Italia il numero di partite IVA tra i giovani sotto i 35 anni è cresciuto del 15% nell’ultimo decennio, nonostante le difficoltà burocratiche e fiscali (Agenzia delle Entrate, 2024).
I percorsi professionali convenzionali, quelli che prevedevano una carriera lineare all’interno di una singola azienda, sono sempre più abbandonati in favore di modelli più fluidi e auto-diretti. La finanza decentralizzata (DeFi) e le criptovalute hanno attirato un interesse senza precedenti: il 20% della Gen Z globale possiede asset digitali, e in Italia, nonostante una certa diffidenza culturale, il 12% dei giovani tra i 18 e i 34 anni ha investito in criptovalute (Doxa, 2024). Persino la lealtà ai vecchi modelli di carriera, come la ricerca di un “posto fisso”, è in netto declino, sostituita da un pragmatismo che privilegia l’autonomia e la flessibilità.
Il messaggio è chiaro: non è il capitalismo in sé a essere ripudiato, ma il capitalismo “concessionato”, quello in cui le opportunità sono distribuite in modo diseguale, accessibili solo a chi è già dentro il sistema – per nascita, connessioni o capitale preesistente. Agli outsider, invece, si chiede di aspettare, sperare e obbedire a regole che non offrono più una ricompensa proporzionata. Questo modello non è più sostenibile, e le nuove generazioni lo stanno abbandonando non per ideologia, ma per necessità.
In Italia, questo rifiuto assume sfumature particolari. La rigidità del mercato del lavoro, con contratti precari che dominano il panorama (il 60% dei giovani italiani sotto i 30 anni lavora con contratti a termine, ISTAT 2024), e l’elevata pressione fiscale sulle piccole imprese scoraggiano l’iniziativa individuale. Eppure, anche in questo contesto, emergono segnali di cambiamento: startup tecnologiche come Satispay o Musixmatch, nate da giovani imprenditori italiani, dimostrano che è possibile costruire valore anche in un sistema ostile. Tuttavia, la scala di queste iniziative resta limitata rispetto agli Stati Uniti, dove l’ecosistema delle startup beneficia di un accesso più facile al capitale di rischio e di una cultura che celebra il fallimento come parte del processo imprenditoriale.
È in questo scenario che si aprono opportunità uniche per chi sa leggere i segnali e agire con tempismo. Il nostro modello R.A.P.T.OR. (illustrato e spiegato nel dettaglio nel nostro libro “Trend Positioning”) – e affinato in 15 anni di studi e investimenti, ci guida proprio in questo: identificare i trend emergenti, allineare le strategie al momento giusto e costruire portafogli tecnologici solidi senza cadere nella trappola dei vecchi paradigmi. Questo approccio ci permette di cogliere il potenziale di queste trasformazioni strutturali, trasformando le incertezze in opportunità concrete.
Non serve essere populisti per cogliere il filo rosso che attraversa questi cambiamenti. Negli ultimi dieci anni, l’umore di Millennials e Gen Z è passato da una pazienza guardinga, che sperava in un miglioramento graduale del sistema, a un’azione impaziente, che rifiuta di rispettare regole ormai scadute e si concentra sulla costruzione di nuovi percorsi. Questo passaggio non è casuale. Quando prometti a una generazione che il duro lavoro porterà alla proprietà – una casa, un portafoglio di investimenti, una quota di ricchezza – e poi rendi ogni asset inaccessibile, non generi solo frustrazione: spezzi il contratto sociale stesso.
La fiducia in un sistema non si erode per una singola catastrofe, ma per un accumulo di esclusioni ripetute nel tempo. È esattamente ciò che è accaduto.
I Millennials sono entrati nel mercato del lavoro durante la peggiore recessione dai tempi della Grande Depressione, affrontando disoccupazione, sottoccupazione e salari stagnanti. La Gen Z, a sua volta, ha ereditato un mondo segnato dalla pandemia, dall’instabilità geopolitica e da un’inflazione che ha ulteriormente compresso il loro potere d’acquisto. In Italia, questo processo è stato amplificato da una crescita economica stagnante (il PIL italiano è cresciuto solo dello 0,8% annuo in media dal 2000, contro il 2% degli USA, OECD) e da un sistema previdenziale che grava sulle spalle delle nuove generazioni, con contributi elevati che finanziano pensioni generose per i più anziani, ma lasciano poche prospettive per il futuro dei giovani.
Ma questo movimento non è più frammentato o casuale. È una campagna organizzata, anche se decentralizzata, di auto-determinazione economica.
Non è guidata da un’ideologia politica coerente, ma da una necessità pratica: trovare modi per aggirare le barriere del vecchio sistema e creare valore in nuovi spazi. Questo si manifesta in molteplici forme: portafogli di investimento costruiti su piattaforme come Robinhood ($HOOD), entrate generate attraverso l’economia della condivisione su Airbnb ($ABNB), wallet di criptovalute gestiti su Coinbase ($COIN), sviluppatori autodidatti che lanciano progetti open-source, micro-imprenditori che sfruttano piattaforme come Etsy o Shopify per costruire attività indipendenti. In Italia, piattaforme come Fiverr o Vinted stanno guadagnando terreno tra i giovani, mentre l’interesse per le criptovalute, sebbene ancora di nicchia, cresce tra chi cerca alternative ai canali finanziari tradizionali.
In questo contesto, le intuizioni di Peter Thiel, uno dei più influenti pensatori del capitalismo moderno, acquistano una rilevanza straordinaria.
Thiel ha sostenuto a lungo che il vero progresso non avviene seguendo percorsi prevedibili o riformando sistemi esistenti, ma costruendo in spazi nuovi, non regolamentati, dove le barriere all’ingresso sono basse e l’innovazione può prosperare senza vincoli.
La sua filosofia si riflette nelle aziende che guidano la Quarta Rivoluzione industriale – come Palantir ($PLTR), Nvidia ($NVDA), CrowdStrike ($CRWD), Tesla ($TSLA), Strategy ($MSTR) e Robinhood ($HOOD) – tutte realtà che hanno saputo sfruttare tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la cybersecurity, il Bitcoin e la robotica per ridefinire interi settori.
Queste aziende non sono solo simboli di innovazione, ma esempi concreti di come il capitale premi chi sa riconoscere quando le vecchie scale non portano più da nessuna parte. In Italia, dove l’ecosistema tecnologico è meno sviluppato, questa lezione è ancora più cruciale.
Le startup italiane, spesso costrette a operare con risorse limitate e in un contesto normativo complesso, devono adottare un approccio thieliano: cercare “segreti” – nicchie di mercato trascurate, tecnologie sottovalutate – e costruire soluzioni scalabili. Ad esempio, aziende come Cortilia, che ha rivoluzionato la consegna di prodotti alimentari freschi, o Casavo, che ha introdotto il modello di instant buying nel settore immobiliare, dimostrano che anche in Italia è possibile innovare, ma richiedono una visione audace e una capacità di navigare l’incertezza.
Per questo, nonostante le difficoltà, non sono pessimista.
Non dubito del futuro, perché so che appartiene a chi riesce a vedere il crollo delle vecchie impalcature come un’opportunità, non come una condanna. Non metto in discussione l’energia imprenditoriale di Millennials e Gen Z: la vedo fiorire in modi che erano impensabili solo un decennio fa. Dagli sviluppatori che creano applicazioni decentralizzate su blockchain agli influencer che monetizzano la loro creatività sui social media, dalle startup che sfidano i colossi tradizionali ai piccoli investitori che sfruttano piattaforme democratizzate per entrare nei mercati, c’è un’energia palpabile che sta ridefinendo il concetto stesso di creazione di valore.
Ma questa lettera non è rivolta solo ai giovani.
È un invito anche agli adulti, ai genitori, agli imprenditori, ai professionisti affermati, a riflettere sul futuro finanziario dei propri figli.
In Italia, la tendenza a proteggere i giovani mantenendoli all’interno di percorsi tradizionali – il “posto fisso”, il risparmio in banca, l’attesa di un’eredità – rischia di intrappolarli in un sistema che non offre più le stesse opportunità di un tempo. I genitori devono riconoscere che il mondo è cambiato: la sicurezza economica non si costruisce più solo con la prudenza fine a se stessa.
L’incoraggiamento all’imprenditorialità e il sostegno a esplorare nuovi settori, come la tecnologia o la finanza decentralizzata. Investire nel futuro dei propri figli non significa solo garantirgli una casa o un’istruzione, ma dotarli degli strumenti per navigare un’economia globale in rapida trasformazione. Questo richiede un cambiamento culturale: smettere di vedere il rischio come un pericolo e iniziare a considerarlo come una componente necessaria del progresso che si può gestire.
Personalmente, non ho ricevuto privilegi né scorciatoie per aggirare il sistema corroso. Tutto ciò che ho costruito è il risultato di un percorso fatto di passi graduali, rischi calcolati e decisioni prese in mercati azionari che non si curavano della mia storia personale.
E se c’è una lezione che ho appreso, è questa: il sistema non si riformerà da solo. Aspettare che lo faccia è il modo più certo per perdere il treno delle opportunità, che è già in movimento.
Il capitale, in particolare sui mercati azionari, oggi non premia chi resta fedele a strutture obsolete o chi si limita a seguire percorsi tradizionali.
Premia chi sa riconoscere i segnali del cambiamento – le tecnologie emergenti, i nuovi modelli economici, le opportunità nascoste – e agisce con rapidità e determinazione. La verità è che, finché le barriere alla proprietà non saranno davvero abbattute, o finché la nuova economia non decollerà con una forza propria, questa divergenza tra il vecchio sistema e le nuove generazioni non si fermerà. Al contrario, guadagnerà velocità, creando un divario sempre più netto tra chi si ostina a combattere guerre già perse e chi invece costruisce il futuro.
Il futuro non sarà un premio per la lealtà al passato. Apparterrà a chi avrà l’audacia di costruire nell’incertezza, di puntare presto su ciò che emerge piuttosto che aggrapparsi a ciò che crolla. La Quarta Rivoluzione Industriale non è un’ipotesi lontana: è già qui, guidata da pionieri che stanno ridefinendo il modo in cui viviamo, lavoriamo e creiamo valore. Le aziende come Palantir, che trasforma i dati in decisioni strategiche, e Tesla, che guida la transizione verso la robotica, non sono solo casi di successo isolati.
Sono i pilastri di un nuovo paradigma economico, in cui la tecnologia non è solo uno strumento, ma un moltiplicatore di opportunità per chi sa sfruttarla.
In Italia, questo paradigma è ancora agli albori, ma non per mancanza di talento.
Il nostro Paese ha prodotto innovatori straordinari, da Federico Faggin, padre del microprocessore, a giovani startup che competono su scala globale.
Tuttavia, la burocrazia, la scarsità di capitale di rischio e una cultura avversa al rischio rallentano il decollo di un ecosistema tecnologico robusto.
Per i giovani italiani, e per i loro genitori, questo significa che il futuro non si costruirà aspettando che il sistema cambi, ma cercando opportunità oltre i confini nazionali.
Questa lettera non è solo una diagnosi, ma un invito all’azione.
A tutti coloro che si sentono esclusi, marginalizzati o traditi dal sistema – giovani e meno giovani – il messaggio è chiaro: non siete soli, e non siete impotenti. Il futuro non è scritto, ma è nelle vostre mani.
Ogni autodidatta che lancia un progetto, ogni micro-imprenditore che costruisce un’attività, ogni investitore che scommette su un’idea emergente sta contribuendo a costruire un nuovo sistema, più aperto, più dinamico, più equo.
E ogni genitore che insegna ai propri figli a pensare in modo critico, a prendere rischi calcolati e a cercare opportunità oltre i confini tradizionali sta investendo nel loro futuro in un modo che nessuna eredità materiale potrà mai eguagliare.
Non si tratta di distruggere il capitalismo, ma di reinventarlo. Non si tratta di aspettare che le barriere cadano, ma di costruire ponti per superarle. E non si tratta di sognare un mondo perfetto, ma di agire oggi, con i mezzi a disposizione, per creare opportunità che non esistevano ieri. In Italia, questo significa sfidare una cultura che privilegia la stabilità a scapito dell’innovazione, investire in competenze globali e costruire reti che superino i limiti del nostro sistema economico.
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Efisio Garau
Head of Fundamental Analysis
Trend Positioning Research Institute
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