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Investire al crocevia della storia: dividendo della pace, guerra per la Fed e fallimento del keynesianesimo

Un uomo saggio creerà più opportunità di quante ne trovi. – Francis Bacon, (1597)

Sono passati 428 anni dalle parole del filosofo, ma la loro saggezza e validità rimane immutata ancora oggi.  Anche nei mercati finanziari.

E non certo per caso.

Bacon è considerato infatti uno dei padri del metodo scientifico moderno. Nel suo trattato Novum Organum (1620), parte della sua opera incompiuta Instauratio Magna, propose un approccio empirico alla conoscenza, basato sull’osservazione, l’esperimento e l’induzione, in opposizione al metodo deduttivo aristotelico.

Criticava il ragionamento basato su assunzioni non verificate e promuoveva un approccio sistematico per raccogliere dati e trarre conclusioni.

Applicare la sua visione ai mercati porta alla naturale conclusione secondo cui la vera prosperità si conquista attraverso una preparazione strategica e non per caso, ancora di più in questi ultimi mesi del 2025.
 
Con l’avvicinarsi delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti nel 2026, un’eccezionale convergenza di geopolitica, tecnologia e politica sta preparando il terreno per un potenziale mercato rialzista di portata storica per i portafogli azionari.
 
È impossibile ignorare i parallelismi storici tra l’attuale momento e un’altra epoca di profonda transizione, i primi anni Novanta. Gli sforzi diplomatici del presidente statunitense Donald Trump (seppure criticabili e imperfetti) incarnano l’etica della “pace attraverso la forza” che caratterizzò la politica estera americana alla fine della Guerra Fredda.
 
In maniera simile al dividendo di pace di quell’epoca, che permise al capitale di fluire dal complesso militare-industriale verso l’innovazione e la creazione di nuove industrie, i nuovi accordi cercano di ridurre le tensioni globali, abbassare i rischi e liberare risorse per l’espansione economica.
 
Il mercato rialzista degli anni Novanta fu alimentato da un’ondata di innovazione unica nel suo genere e da una produttività liberata, ma anche da una demografia economica favorevole, con una nuova generazione di lavoratori e consumatori che entrava nel mercato.
 

Gli investitori di oggi dovrebbero studiare attentamente quell’era, poiché il contesto demografico è sorprendentemente simile, con una popolazione più giovane in crescita e un dinamismo imprenditoriale accentuato. E soprattutto un trasferimento generazionale di ricchezza epocale.

Riprendo a tal proposito un passaggio dell’ultima newsletter di Gian Massimo Usai,Head Of Research & CIO del Trend Positioning Invest.

Con il nostro lavoro di ricerca basato sull’evidenza diamo molto peso alla comprensione della demografia e al ruolo che la storia gioca in ogni contesto. Credo che sia uno degli aspetti più sottovalutati: in realtà, la demografia spiega quasi ogni mercato toro dal 1890 in poi.

Se si segue il percorso di ogni generazione, i mercati orso si trovano proprio nei “vuoti” tra una generazione e l’altra, mentre i picchi dei mercati toro coincidono con i momenti di massima forza di una generazione.

Il 1999 fu il picco dei Boomer. Il 1974 quello della Greatest Generation. La Gen X ha avuto il picco nel 2018. E i Millennial lo avranno nel 2035. Sono tappe indicative, ma ci dicono quando avvengono i grandi top di mercato.

La seconda cosa che abbiamo riscontrato è che gli investitori, invecchiando, diventano più ricchi, ma anche più scettici.

La maggior parte della ricchezza in America oggi è nelle mani delle persone più anziane — inclusi i gestori istituzionali, che in genere hanno più di 40 anni.

Ma il mondo viene trasformato dai ventenni.

Gli investitori più maturi tendono a credere che sia la loro esperienza a guidare i mercati. In realtà, è la forza delle nuove generazioni che ridisegna l’economia. Per capire il futuro bisogna avere il coraggio di indossare gli “occhiali” di un ventenne.

Quello che abbiamo osservato è che molti investitori oggi restano scettici perché hanno vissuto in prima persona due traumi profondi: lo scoppio della bolla dot-com nel 1999 e la Grande Crisi Finanziaria del 2008. Da queste esperienze sono usciti “equity-skeptical”: faticano a immaginare che qualcuno voglia detenere azioni per un intero decennio.

Eppure, proprio questo bias è ciò che spesso permette ai mercati azionari di sorprendere al rialzo.

Anche oggi notiamo una dinamica simile: dopo aver attraversato pandemia e inflazione negli ultimi cinque anni, molti continuano a guardare il mondo con pessimismo. Noi, al contrario, cerchiamo di mantenere uno sguardo libero da pregiudizi. Qualcuno ci etichetta come “permabull”, ma in realtà cerchiamo soltanto di restare fedeli ai dati e ai fatti.

Per quanto riguarda la situazione attuale, il quadro demografico indica chiaramente il 2035 come punto chiave: siamo solo all’inizio di un nuovo mercato toro. È vero, dal 2020 i mercati hanno recuperato, ma lungo il percorso abbiamo già visto due drawdown del 20%. La ripresa dal minimo del 2020 è stata tutt’altro che lineare: basti pensare al “lavaggio” del sentiment tra febbraio e aprile di quest’anno.

Oggi la prova è sotto gli occhi di tutti: durante l’intero rialzo, mentre l’S&P 500 segnava nuovi massimi storici, la quota di investitori ribassisti è rimasta superiore a quella dei rialzisti.

Una conferma che non è solo aneddotica, ma matematicamente dimostrabile.

Penso però che la grande storia sia quella demografica, guidata da Millennial e Gen Z. A questo si aggiunge l’enorme eredità che riceveranno nei prossimi 20 anni, che verrà trasformata in più esposizione azionaria e meno credito. Inoltre, gli Stati Uniti sono al centro dei grandi cambiamenti strutturali: AI e blockchain.

Questi trend potrebbero far sì che il settore finanziario arrivi a pesare il 40% dell’S&P, mentre anche l’healthcare ne beneficerà.

Quindi ci sono molte ragioni per essere ottimisti. E il 2035 sembra davvero l’anno giusto: potrebbe segnare un mercato toro decennale da qui in avanti.

Ma alle buone notizie seguono sempre anche le cattive.

Non fraintendermi: non voglio spaventare nessuno e probabilmente sono tra gli analisti più positivi in circolazione. Tuttavia non posso non dirtela tutta.

Se le cose andranno così, per molti di noi questo sarà l’ultimo decennio disponibile per creare vera ricchezza generazionale. Certo, con il nostro metodo saremo in grado di individuare le “Apple del 2003”, aziende destinate a crescere anche all’interno di un mercato secolare ribassista. E se sarai tra i nostri clienti, lo vedrai con i tuoi occhi.

Ma nulla sarà paragonabile a ciò che è possibile – e sarà possibile – se questo decennio assomiglierà a quello del 1999. Un’opportunità che capita una volta ogni 30 anni.

Ti auguro di essere ancora qui quando accadrà, ma sappi che non sarà mai lo stesso.”

Certo, qualcuno dirà che la storia non si ripete, ma nei mercati come minimo fa rima molto frequentemente.

Un mercato rialzista secolare, alimentato da innovazione, demografia favorevole e i tangibili benefici della pace, definirà il decennio a venire.

L’incontro fra deregolamentazione, tagli fiscali e un’aggressiva “diplomazia degli accordi” sta alimentando speculazioni su un dividendo di pace a favore degli asset di “rischio”.
 
La corsa di Bitcoin ed Ethereum, l’impennata dell’S&P 500 (con l’obiettivo di 7.500 punti per la metà del 2026) e una nuova era d’oro per la tecnologia sembrano inevitabili, mentre il regno di Jerome Powell alla Federal Reserve volge ormai al termine. 
 
Come investitore devi guardare oltre i titoli di giornale e il consenso mainstream: le forze deflazionistiche stanno guadagnando slancio, il mercato del lavoro statunitense e i dati sul PIL dipingono il quadro di un’economia che rallenta, rilanciando lo scenario per tassi significativamente più bassi, anche se questo percorso non garantirà profitti facili per tutti.
 
Ciò che distinguerà gli investitori di successo sarà la loro capacità di guardare avanti di cinque o sei trimestri, penetrando la coltre di nebbia di Wall Street.
 
Il consenso è una forza potente, ma spesso fuorviante. Raramente ciò è stato più vero di oggi.
 
Il continuo rimescolamento delle narrazioni di mercato nei desk di trading spesso offusca il punto chiave che l’economia reale non coincide con gli asset di rischio.
 
Mentre il ritmo dell’attività economica rallenta e le metriche tradizionali segnalano cautela, iniezioni di liquidità, la possibilità di un dividendo di pace e tagli ai tassi possono catalizzare il mercato azionario verso nuovi massimi.
 
Questa divergenza consente una salutare e robusta espansione dei multipli, poiché tassi più bassi e svolte geopolitiche ridefiniscono il denominatore per la valutazione degli asset.
 
Di fronte a uno scetticismo persistente e a dati di breve termine rumorosi, gli investitori disciplinati che anticipano, anziché reagire in ritardo, coglieranno le opportunità di un mercato rialzista secolare guidato da innovazione, demografia, politiche accomodanti e dalla logica di un rinnovato appetito per il rischio.
 
Il panorama degli investimenti attuale è definito dalla fusione dell’Art Of The Deal di Trump con i principi strategici senza tempo dell’ “Arte della guerra” di Sun Tzu, creando un playbook unico.
 
L’approccio di Trump utilizza lo spettacolo pubblico (quasi da circo), la negoziazione aggressiva e mosse di potere visibili, caratteristiche del moderno deal-making, ma la logica strategica sottostante riflette spesso l’enfasi di Sun Tzu sulla preparazione, l’asimmetria e il vantaggio psicologico.
 
Invece di affidarsi esclusivamente alla forza bruta, le negoziazioni combinano la sottigliezza di posizionarsi per vittorie invisibili ai più (evitando conflitti costosi, raccogliendo dividendi attraverso svolte diplomatiche) con l’asserzione molto visibile della leva destinata a guidare i risultati sotto gli occhi di tutti.
 
Per gli investitori, questa sintesi significa monitorare sia gli effetti silenziosi e cumulativi del cambiamento strutturale sia i titoli di giornale delle operazioni che muovono il mercato: l’arte sta nel sapere quando agire dietro le quinte e quando capitalizzare sullo spettacolo, poiché entrambi possono offrire guadagni straordinari in un’era in cui strategia e spettacolarità sono inestricabilmente legati.

I. La visione miope dei dati economici: oltre il BLS

Prima di analizzare le nostre prospettive rialziste, è fondamentale sfatare l’illusione costruita sui tradizionali indicatori economici.
 
L’U.S. Bureau of Labor Statistics (BLS) ha spesso prodotto dati occupazionali di impatto che, sebbene apparentemente solidi, presentavano crepe sotto la superficie.
 
I tassi di partecipazione al mercato del lavoro restano inferiori ai massimi pre-pandemici, i guadagni in termini di occupazione a tempo pieno si sono arrestati e gran parte della crescita dei payroll deriva da lavori part-time o basati sull’economia dei “lavoretti”, distorcendo le misurazioni tradizionali della salute economica.
 
Allo stesso modo, i dati sul PIL sono sempre più soggetti a revisioni. Aggiustamenti delle scorte, volatilità delle esportazioni nette e la spesa pubblica hanno mascherato una domanda sottostante non in crisi, ma indebolita. I numeri sulla produttività, quando adeguatamente corretti per i guadagni di efficienza indotti dalla tecnologia, mostrano una crescita, ma non in modo uniforme o robusto tra i settori.
 
Queste imperfezioni hanno generato un consenso pericoloso secondo cui l’economia sarebbe più forte di quanto effettivamente sia.

II. Deflazione e crescita: la necessità di un approccio realista

L’ironia di questa fase è evidente: mentre l’entusiasmo domina i mercati azionari e delle criptovalute, l’economia reale sta affrontando una crescente pressione deflazionistica.

Segmenti chiave come il commercio al dettaglio, la manifattura e la logistica delle merci registrano un’effettiva perdita di potere di determinazione dei prezzi.La tecnologia non solo sta alimentando la produttività, ma come abbiamo più volte ribadito sta anche esercitando una costante pressione al ribasso sui prezzi aggregati.

Automazione, ottimizzazione e miglioramenti nelle catene di approvvigionamento globali stanno spingendo i costi di input e dei beni finali sempre più in basso.

Queste tendenze sono destinate a intensificarsi man mano che il costo dell’energia, in particolare del petrolio, riprende la sua traiettoria discendente, eliminando un storico motore dell’inflazione di fondo.Con i prezzi del petrolio previsti in ulteriore calo, l’impulso deflazionistico nell’economia globale non farà che aumentare, esercitando pressione aggiuntiva su dinamiche salariali e di prezzo già in indebolimento.

Nel frattempo, i debiti dei consumatori restano un peso. L’accessibilità abitativa, nonostante i rialzi dei mercati azionari, è messa in discussione dall’alto costo del capitale e da salari che  tengono il passo solo parzialmente con il costo della vita.Questi venti contrari strutturali non saranno risolti solo con un allentamento della politica monetaria.

Il mio scenario di base non è una recessione, ma un solo un rallentamento della crescita. Come osservato nelle epoche successive alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale, è possibile che ottimismo e rialzi degli asset coesistano con rallentamenti economici.

III. I limiti della politica monetaria: la Fed è ancora in ritardo

Se vuoi trarre profitto da questi tempi storici, devi innanzitutto riconoscere i ritardi della politica monetaria.

È facile attribuire poteri quasi mistici alla Federal Reserve, ma la banca centrale opera con un ritardo significativo, solitamente dai 18 ai 24 mesi per osservare la piena trasmissione di un aumento o di un taglio dei tassi.

Secondo questa logica, l’impatto completo dell’ultimo ciclo di inasprimento non si è ancora fatto sentire.

Allo stesso tempo, il rischio futuro non deriva da un surriscaldamento, ma da un sottodimensionamento del potenziale, lasciando la politica monetaria troppo restrittiva mentre la deflazione guadagna forza.

In equilibrio, il tasso dei Federal Funds (FFR) dovrebbe trovarsi al “tasso naturale” (r*), stimato tra il 2% e il 2,5% in un contesto di crescita strutturalmente lenta e guidato dalla tecnologia, nettamente sotto il tasso effettivo.

Con il mercato ancora alle prese con gli effetti ritardati della politica monetaria, aspettare che i dati economici peggiorino prima di agire comporta un rischio reale.

Per questo motivo, nonostante il consenso per un approccio lento e cauto, alla luce degli ultimi report sul mercato del lavoro la Federal Reserve dovrebbe tagliare i tassi di 50 punti base nella riunione di della prossima settimana, anticipando un allentamento per evitare un rallentamento più profondo e favorire un atterraggio morbido.

IV. La trappola del consenso

Un errore fondamentale tra gli investitori è l’abitudine di seguire le indicazioni della Federal Reserve a posteriori, anziché scontare il futuro.
 
Man mano che il consenso sull’inevitabilità di tagli significativi si rafforza, i mercati si muoveranno ben prima che il Federal Open Market Committee (FOMC) agisca.
 
La lezione è cruciale: investire in asset di rischio riguarda il futuro, non il passato. Coloro che aspettano conferme o validazioni nei dati ritardati raramente ottengono i migliori rendimenti nei cicli storici.
 
Per essere chiari, Trump ha resettato il ciclo quadriennale con gli eventi legati al Liberation Day nell’aprile di quest’anno.
 
Un mercato rialzista fino alle elezioni di metà mandato dovrebbe essere ormai una previsione scontata per tutti.

V. Dividendo di pace, mercato rialzista e ricchezza digitale

Il contesto di riforme dal lato dell’offerta—che include l’anticipazione di un dividendo di pace, il calo deflazionistico del petrolio e una ricalibrazione monetaria—crea le condizioni per potenti rialzi nei mercati azionari, delle criptovalute e immobiliare.

Un accordo ancora fattibile tra il presidente Trump e il presidente russo Vladimir Putin sull’Ucraina (sottolineo fattibile, non giusto ed etico) cambia radicalmente il calcolo del rischio.

La prospettiva che i premi di rischio legati a scenari di guerra svaniscano stimola flussi di capitale verso settori ciclici, infrastrutture e finanziari.

Bitcoin è ancora al centro di questa nuova fase. Non solo come “copertura contro l’inflazione”, ma come barometro della tolleranza al rischio, della credibilità monetaria e dell’appetito globale per gli asset digitali come alternativa alle valute fiat.

L’attuale impennata degli asset digitali riflette non solo il timore di errori delle banche centrali, ma anche l’ottimismo per la pace, una crescita guidata dalle politiche e un futuro tecnologico che trascende i confini.

Tutto ciò culmina in una proiezione di un mercato rialzista dell’S&P 500 verso i 7.500 punti a metà 2026—un potente mix di espansione degli utili, rivalutazione degli stessi e flussi senza precedenti sia da investitori retail che istituzionali.

No, l’era dell’eccezionalismo statunitense non è finita. La combinazione di tagli dei tassi e un credibile dividendo di pace getta le basi per un’espansione dei multipli, spingendo ulteriormente gli asset di rischio anche mentre l’economia reale avanza con più fatica.

Questo è il marchio di un vero mercato rialzista secolare: liquidità e sentiment che superano l’attività economica reale per coloro abbastanza consapevoli da vedere oltre il consenso odierno.

VI. L’Arte della Guerra e l'Art Of The Deal: una lezione per il capitalismo moderno

Nel 2025, la lente strategica per gli investitori è più preziosa che mai.

Sun Tzu invita a una preparazione invisibile e anticipatoria, che richiede di conoscere non solo se stessi e l’ambiente, ma anche gli avversari e i loro incentivi.

Al contempo, l’Art Of The Deal di Trump si basa sullo spettacolo: un vantaggio negoziato e visibile, capace di trasformare conflitti e rischi in opportunità pubbliche.

Questa sintesi rappresenta il playbook odierno per navigare la linea sfumata tra diplomazia e mercati.

Il dividendo di pace non è garantito, ma diventa possibile quando i leader agiscono con audacia e gli investitori sanno leggere oltre i dati, anticipare il futuro e posizionarsi per cambiamenti strutturali, non solo per svolte cicliche.

Viviamo, senza dubbio, in tempi storici.

L’impatto cumulativo di politiche non convenzionali, innovazione radicale, cambiamenti demografici e un moderno approccio al negoziato sta riscrivendo ogni modello previsionale.

I mercati premieranno coloro che vedono il mondo per ciò che sta diventando, non per ciò che era.

VII. La nuova guerra d'Indipendenza: Federal Reserve, Tesoro e il futuro della politica monetaria

L’evoluzione dell’indipendenza della Federal Reserve è il conflitto centrale che plasma la politica monetaria negli Stati Uniti.

Il prossimo atto di questa contesa è già all’orizzonte: ci si aspetta che la Federal Reserve cambi natura, con la sua autonomia probabilmente ridotta per servire obiettivi fiscali più ampi.

Il crescente debito nazionale, le persistenti pressioni politiche e un cambiamento globale verso la dominanza fiscale stanno preparando il terreno per un’era in cui la politica della banca centrale potrebbe essere sempre più coordinata con le esigenze del Tesoro statunitense.

Se dovesse riaffermarsi una dinamica pre-1951, in cui la Federal Reserve operava principalmente a supporto del rifinanziamento federale, il controllo della curva dei rendimenti passerebbe da rischio teorico a strumento politico pratico.

Ancorando esplicitamente o implicitamente i tassi lungo lo spettro delle scadenze, la Federal Reserve potrebbe garantire un rifinanziamento del debito pubblico economico e prevedibile.

I precedenti dei periodi della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra di Corea illustrano come la politica monetaria, di fronte a enormi necessità fiscali, sia stata deliberatamente subordinata alle esigenze di finanziamento del governo.

Questo mondo emergente di dominanza fiscale ridefinisce la missione della Federal Reserve.

Invece di concentrarsi esclusivamente su inflazione e occupazione, la politica monetaria subirà pressioni per fungere da motore di contenimento dei costi per il Tesoro.

Tassi più bassi e una curva dei rendimenti gestita sarebbero l’esito atteso, esercitando pressione al rialzo sugli asset di rischio e premiando coloro che anticipano questo cambiamento di politica.

La questione non è più se la Federal Reserve difenderà la sua indipendenza, ma quanto rapidamente e fino a che punto le realtà politiche ne forzeranno un ridimensionamento.

I sostenitori dell’indipendenza metteranno in guardia sui pericoli per la stabilità dei prezzi e sulla perdita della credibilità dell’era Volcker.

I critici, pressati dal peso del servizio del debito e dai calcoli fiscali, sosterranno che è irresponsabile non coordinarsi.

In sintesi, gli investitori dovrebbero prepararsi per un regime in cui l’autonomia della Federal Reserve è ridotta, il controllo della curva dei rendimenti non è solo in discussione ma attivamente implementato, e il mondo è inequivocabilmente in un’era di dominanza fiscale.

Questo cambiamento lascerà un segno indelebile sui tassi di interesse, sulle probabilità di inflazione e sul vero costo del capitale a lungo termine per tutte le classi di asset.

Ignorarlo significa ignorare l’asse centrale della nuova era degli investimenti.

VIII. Guida pratica per il ciclo rialzista

  • Anticipa il futuro, non aspettare il permesso della Federal Reserve: i mercati si muovono rapidamente. Quando Powell agirà, i prezzi degli asset si saranno già ricalibrati. Concentrati sugli indicatori prospettici e anticipa l’allentamento della politica monetaria, senza limitarti alle condizioni attuali.
 
  • Punta sulla crescita secolare, ma proteggiti dalla volatilità: con un rallentamento (non una recessione) come scenario di base, è importante essere esposti al tema dell’intelligenza artificiale, alle cryptovalute come Bitcoin ed Ethereum e al nuovo ciclo dovish della Fed.
 
  • Metti in discussione i dati: gli indici dei prezzi al consumo (CPI), le spese per consumi personali (PCE) e i dati sul PIL sono imperfetti: integra le metriche ufficiali con dati in tempo reale e i segnali che il mercato azionario sta fornendo. Il ciclo quadriennale è stato ridefinito.
 
  • Posizionati per un tasso terminale del 2% per il FFR: l’unica soluzione alla crisi del debito attuale è la crescita economica e tassi di interesse reali negativi. Preparati a una Federal Reserve con autonomia ridotta. Sì, il controllo della curva dei rendimenti è all’orizzonte.
 
  • Abbraccia il rischio, in modo selettivo: avere la consapevolezza della situazione e dare una lettura corretta a ciò che sta succedendo è tutto. Abbiamo avuto una conferma durante il bottom di aprile, quando il mondo continuava a parlare di mercato orso e noi vedevamo già la ripresa a V più odiata della storia dei mercati. 
 
  • Investire sui temi strutturali:

-AI: il motore fondamentale di produttività, automazione e disruption. L’AI consuma energia, e l’economia con l’energia a minor costo avrà un enorme vantaggio competitivo.

-Cripto: oltre a Bitcoin, Ethereum è alla base della finanza di nuova generazione. La tokenizzazione degli asset del mondo reale (RWA) sarà un tema centrale.

-Small cap: tassi più bassi e nuovi flussi di capitale guideranno ulteriori rialzi.

-Finanziario: fintech e aziende dei mercati dei capitali beneficeranno di politiche  più favorevoli e della combo AI+blockchain.

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Il grande reset macroeconomico: il fallimento delle politiche keynesiane

Le ultime vicissitudini hanno portato stravolgimenti anche all’interno della macroeconomia e messo in evidenza come i keynesiani abbiano sbagliato ancora sull’economia statunitense, allargando il divario tra la teoria economica di John Maynard Keynes e la realtà dei fatti.
 
Nonostante le previsioni dei principali economisti keynesiani, l’economia statunitense nel 2025 continua a smentire le aspettative.
 
Il ciclo di inasprimento della Federal Reserve non ha provocato il tanto temuto “atterraggio duro”, e la crescita si è dimostrata più resiliente del previsto.
 
Al contempo, l’inflazione, pur rimanendo persistente in alcune aree, è in calo e l’economia si rifiuta di seguire i percorsi lineari e prevedibili suggeriti dai modelli teorici.
 
Questo ennesimo fallimento dell’ortodossia keynesiana non è un caso isolato, ma parte di una storia più ampia.
 
Gli errori non sono semplici sviste, bensì il risultato prevedibile di un quadro teorico fallace, al quale i policymaker si sono aggrappati per decenni.
 
Il keynesismo non ha solo “sbagliato” nel 2025, ma ha ripetutamente mancato di mantenere le sue promesse negli ultimi quarant’anni, con conseguenze sempre più evidenti.
 
Al cuore della teoria keynesiana c’è un principio apparentemente semplice: quando la domanda del settore privato cala, il governo deve intervenire, indebitandosi e spendendo per colmare il divario.
 
L’idea è che stimoli fiscali temporanei possano attenuare le fluttuazioni economiche, ridurre la disoccupazione e riportare rapidamente l’economia alla piena capacità produttiva.
 
La parola chiave, tuttavia, è “temporaneo”.
 
Keynes era chiaro: i governi dovrebbero accumulare deficit durante le recessioni, ma generare surplus durante le fasi di espansione, ripagando il debito contratto una volta stabilizzate le condizioni economiche.
 
In pratica, però, questa disciplina non si è mai concretizzata.
 
I politici hanno infatti scoperto che gli elettori apprezzano gli stimoli, ma detestano l’austerità.
 
A partire dagli anni ’70, i deficit sono diventati una costante della politica fiscale statunitense (e non solo), indipendentemente dal ciclo economico.
 
I risultati sono preoccupanti: il debito pubblico degli Stati Uniti supera ora il 120% del PIL, i programmi di welfare sono strutturalmente sottofinanziati e ogni crisi richiede interventi sempre più massicci, con benefici economici sempre più limitati.
 
La pandemia di COVID-19 è stata l’esperimento keynesiano per eccellenza.
 
Tra il 2020 e il 2022, il governo federale ha iniettato oltre 5 trilioni di dollari in stimoli fiscali, accompagnati da una politica monetaria ultra-espansiva della Federal Reserve, che ha portato i tassi di interesse a zero e ampliato il proprio bilancio di 120 miliardi di dollari al mese.
 
Secondo il modello keynesiano, questo intervento monetario e fiscale senza precedenti avrebbe dovuto generare un’espansione economica duratura.
 
Tuttavia, i risultati raccontano una storia diversa, evidenziando le lacune di un approccio che, pur seducente nella teoria, si scontra con la complessità della realtà economica.

Il fallimento della crescita economica drogata

L’enorme flusso di stimoli fiscali ha temporaneamente stimolato la crescita economica, anticipando la domanda futura, ma ha generato numerosi problemi.
 
Il problema più evidente è stato l’aumento drastico della domanda in un’economia colpita da vincoli di offerta.
 
Con l’economia “chiusa” a causa delle restrizioni imposte dal governo, l’ondata di stimoli ha provocato un’impennata della domanda.
 
Seguendo i principi fondamentali dell’economia di domanda e offerta, i prezzi sono aumentati.
 
Come previsto, questa politica ha scatenato un’ondata inflazionistica senza precedenti. 
 
Durante il periodo di spesa sfrenata alimentata dagli stimoli pandemici, l’inflazione – esclusi i costi di abitazione e sanità – è schizzata a quasi il 12%.
 
Oggi, con il rallentamento dell’economia e il graduale esaurirsi degli effetti degli stimoli, questo tasso è sceso a solo l’1,61%.
 
In secondo luogo, il “boom economico” generato dall’anticipo della domanda sta svanendo, mentre l’economia si normalizza lentamente, tornando a un rapporto di circa 3,50 dollari di debito per ogni dollaro di attività economica.
 
Dopo la chiusura dovuta alla pandemia, l’economia aveva raggiunto livelli di crescita nominale senza precedenti, vicini al 17,5%.
 
In un’economia bloccata, il risultato di questa domanda artificiale è stato un picco inflazionistico ai massimi degli ultimi 40 anni, superando il 9% nel 2022.
 
Cinque anni dopo, l’inflazione continua a scendere verso l’obiettivo del 2% della Federal Reserve, con i residui degli stimoli monetari e fiscali che continuano a circolare nel sistema.
 
Questa dinamica evidenzia come la crescita indotta artificialmente, pur producendo risultati a breve termine, abbia generato effetti collaterali significativi, mettendo in discussione l’efficacia di politiche basate su interventi massicci e non sostenibili nel lungo periodo.

La rottura del meccanismo di trasmissione della politica monetaria

Un ulteriore fallimento delle moderne politiche keynesiane risiede nella loro eccessiva dipendenza dalle banche centrali.

Attraverso tagli dei tassi di interesse e programmi di quantitative easing (QE), gli stimoli monetari sono diventati la soluzione privilegiata per ogni rallentamento economico.

Tuttavia, il meccanismo di trasmissione tra politica monetaria e attività economica reale si è fondamentalmente inceppato.

Gli interventi artificiali e la cosiddetta Teoria Monetaria Moderna (MMT) non hanno funzionato nella realtà perché il sistema di trasmissione sottostante ha fallito.

Insomma, la promessa di ottenere qualcosa in cambio di nulla non perderà mai il suo fascino.

Pertanto, l’MMT dovrebbe essere considerata più come una forma di propaganda politica che come una vera politica economica o pubblica. E come ogni propaganda, va contrastata con un richiamo alla realtà.

L’MMT, in cui i deficit non contano, è un’illusione.”

Nel frattempo, la velocità di circolazione della moneta, ovvero il ritmo con cui il denaro cambia mani nell’economia, pur recuperando leggermente dopo il blocco economico, continua a diminuire.

In altre parole, la Federal Reserve può iniettare liquidità, ma questa non circola in modo produttivo.

Questo trend non offre prospettive incoraggianti per la crescita del PIL.

Con tassi di crescita economica in calo e un’inflazione in diminuzione, riflesso di una domanda dei consumatori più debole, le banche hanno scarso incentivo a espandere i prestiti agli attuali tassi di interesse, soprattutto in un contesto di normative più stringenti e bassa qualità del credito.

Un problema centrale è che i modelli keynesiani presuppongono una relazione lineare di causa-effetto tra spesa pubblica e produzione economica.

Si concentrano quasi esclusivamente sulla domanda aggregata, trascurando dinamiche cruciali come la saturazione del debito, la fragilità delle catene di approvvigionamento e i cicli di retroazione dei mercati finanziari globali.

Nell’economia altamente finanziarizzata di oggi, la spesa pubblica non circola in modo efficiente.

Gran parte di essa rimane intrappolata nei mercati finanziari, facendo salire i prezzi degli asset.

I tassi di interesse estremamente bassi, un altro pilastro delle politiche keynesiane, scoraggiano il risparmio e incoraggiano la speculazione alimentata dal debito.

Ciò distorce l’allocazione del capitale, portando a investimenti in attività improduttive come  imprese non redditizie.

La maggior parte dei benefici rimane confinata al 10% più ricco della popolazione, che possiede circa l’88% degli asset finanziari aggiustati per l’inflazione.

In altre parole, i ricchi trattengono le iniezioni monetarie, mentre l’inflazione erode il potere d’acquisto dei più poveri.

Questa è una grande discrepanza tra le teorie keynesiane e le realtà economiche.

Molti economisti mainstream hanno ripetutamente previsto una recessione per il 2023-2024 che non si è mai materializzata, hanno sottostimato la persistenza dell’inflazione dopo il 2020 e hanno mal interpretato l’impatto dell’inasprimento fiscale.

Questi errori di previsione rivelano difetti più profondi nel modo in cui i keynesiani modellano l’economia moderna, evidenziando la necessità di un approccio più realistico e pragmatico.

Le profezie di Hayek si rivelano vere

La scuola austriaca di economia, in particolare con le idee di Friedrich Hayek, si pone in netto contrasto con il pensiero keynesiano.
 
Gli economisti austriaci sostengono che un periodo prolungato di tassi di interesse bassi e un’eccessiva creazione di credito generino uno squilibrio pericoloso tra risparmio e investimento.
 
In altre parole, tassi di interesse bassi tendono a stimolare l’indebitamento attraverso il sistema bancario, portando, come prevedibile, a un’espansione del credito.
 
Questa espansione, a sua volta, aumenta l’offerta di moneta.
 
Di conseguenza, come ci si aspetterebbe, il boom alimentato dal credito diventa insostenibile, poiché l’indebitamento artificialmente stimolato si rivolge a opportunità di investimento sempre meno redditizie.
 
Alla fine, questo boom guidato dal credito porta a diffusi errori di investimento.
 
Quando la creazione esponenziale di credito non è più sostenibile, si verifica una “contrazione del credito”, che riduce l’offerta di moneta.
 
Alla fine, i mercati si “riaggiustano”, consentendo una riallocazione delle risorse verso usi più efficienti.
 
Qui casca l’asino: i policymaker moderni si oppongono a questo processo naturale.
 
Ogni recessione viene affrontata con stimoli sempre più aggressivi, che ritardano solo le correzioni necessarie.
 
Il risultato è un accumulo incessante di squilibri economici: imprese inefficienti sopravvivono grazie a debito a basso costo, le cosiddette “imprese zombie” proliferano e l’innovazione ne risente.
 
Ogni espansione economica è più debole della precedente, e ogni ripresa dipende da interventi sempre più massicci per mantenersi a galla.
 
Uno dei più grandi fraintendimenti perpetuati dagli economisti keynesiani è l’idea che lo stimolo finanziato dal debito sia un pranzo gratis.
 
In realtà, il servizio del debito e i crescenti costi di interessi rappresentano un significativo ostacolo economico.
 
Secondo il Congressional Budget Office, nei prossimi anni i pagamenti degli interessi negli Stati Uniti supereranno costantemente la spesa per la difesa nazionale, avvicinandosi a 1,5 trilioni di dollari all’anno entro il 2030.
 
La prossima crisi, sempre più frequente dall’inizio del secolo, porterà probabilmente a una significativa riduzione dei tassi.

L'innovazione tecnologica come chiave di volta per le nuove opportunità

Negli ultimi quattro decenni, le amministrazioni pubbliche e la Federal Reserve hanno adottato con convinzione le politiche monetarie e fiscali keynesiane, ritenendole strumenti efficaci per stimolare l’economia.

Tuttavia, un’analisi obiettiva rivela che gran parte della crescita economica aggregata è stata sostenuta da un aumento della spesa in deficit, dall’espansione del credito e da una progressiva erosione del risparmio.

Questo approccio ha prodotto conseguenze significative: la riduzione degli investimenti produttivi, il rallentamento della produzione economica e una crescente dipendenza dei consumatori dall’indebitamento, a scapito del risparmio.

L’aumento della leva finanziaria ha costretto famiglie e imprese a destinare una quota sempre maggiore del reddito al servizio del debito, riducendo le risorse disponibili per i consumi e gli investimenti.

Inoltre, molti programmi di spesa pubblica, spesso giustificati come misure di sostegno durante le recessioni, si sono concentrati sulla redistribuzione del reddito dai lavoratori ai disoccupati.

Sebbene gli economisti keynesiani sostengano che tali interventi migliorino il benessere sociale, i loro modelli tendono a ignorare il costo implicito di queste politiche: la diminuzione della produttività derivante dall’allocazione di risorse verso la redistribuzione, anziché verso investimenti capaci di generare crescita sostenibile.

Questo circolo vizioso ha pesato sulla prosperità complessiva, evidenziando un errore fondamentale: l’illusione di poter risolvere un problema di debito accumulando ulteriore debito.

Le politiche keynesiane, da programmi come “cash for clunkers” al “Quantitative Easing”, hanno spesso anticipato i consumi futuri o gonfiato artificialmente i mercati degli asset.

Tuttavia, anticipare i consumi crea un vuoto economico che richiede interventi sempre più frequenti per essere colmato, mentre l’effetto ricchezza generato artificialmente scoraggia il risparmio e riduce le risorse per investimenti produttivi.

Questo modello si è rivelato insostenibile, dimostrando i limiti di un approccio teorico che, pur seducente, non regge il confronto con la complessità della realtà economica.

Al di là delle diatribe accademiche e dei stravolgimenti in corso, la Quarta Rivoluzione Industriale in atto sta offrendo opportunità irripetibili e il progresso tecnologico sarà in grado di ovviare a molti limiti.

Per gli investitori, la chiave per prosperare in un contesto economico in evoluzione risiede nella capacità di anticipare i cambiamenti strutturali, piuttosto che affidarsi a strategie del passato.

I prossimi anni non replicheranno le dinamiche del passato recente: ritardi nelle decisioni di politica economica, pressioni deflazionistiche, dati macroeconomici imperfetti e il crescente peso della politica fiscale rispetto all’indipendenza delle banche centrali richiederanno un aggiornamento delle strategie di investimento.

Sebbene la crescita economica globale possa rallentare senza collassare, i mercati finanziari anticiperanno questi scenari con largo anticipo, creando opportunità per chi saprà guardare oltre le mosse immediate della Federal Reserve e le statistiche incomplete.

Gli investitori più lungimiranti punteranno su settori in grado di capitalizzare l’allineamento tra pace, innovazione tecnologica e nuove dinamiche geopolitiche.

Intelligenza artificiale, asset digitali, immobiliare, finanza e oro rappresentano ambiti promettenti per chi è disposto a investire con visione e disciplina.

La vera sfida consisterà nel guardare avanti di cinque o sei trimestri, resistendo al conformismo delle opinioni comuni e riconoscendo che la performance degli asset a rischio non è necessariamente legata alla crescita economica.

La storia dimostra che il divario tra l’andamento dell’economia reale e i rendimenti dei mercati finanziari premia chi sa anticipare le tendenze con coraggio.

In un mondo ridisegnato dalla geopolitica, dalla negoziazione e dai mutevoli equilibri di potere nelle istituzioni finanziarie globali, la pace – intesa come stabilità strategica – rappresenta un’opportunità di profitto senza precedenti.

Pensare contrarian, agire con audacia, investire con disciplina: il futuro appartiene a chi lo plasma.

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Efisio Garau

Head of Fundamental Analysis

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