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Viviamo in un’epoca di profonde trasformazioni, un crocevia storico in cui crisi globali e nazionali si intrecciano, ridefinendo il panorama geopolitico mondiale.
La mia newsletter di oggi offre un’analisi di come siamo arrivati a questo punto, un viaggio che affonda le sue radici ben 80 anni fa e che ci conduce attraverso una tempesta intensa, ma necessaria, verso una rinnovata stabilità e opportunità di investimento epocali.
È una narrazione complessa, che vorremmo fosse più semplice, ma la cui complessità riflette la realtà. Siamo all’interno dell’ultima tempesta prima della calma, e l’intensità è quella delle grandi svolte storiche.
In questo contesto, gli Stati Uniti stanno sfruttando la loro leadership tecnologica, in particolare nell’intelligenza artificiale, come leva per consolidare il loro dominio geopolitico, costringendo le nazioni a scegliere alleanze strategiche per non restare indietro all’interno della Quarta Rivoluzione Industriale.
Tutto questo ha delle conseguenze molto importanti nel mondo degli investimenti di oggi, con geopolitica, innovazione, energia e leader visionari come protagonisti.
La Guerra Fredda ha rappresentato per decenni l’ancora del sistema geopolitico globale. Il confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica definiva le scelte delle nazioni: allinearsi con Washington, con Mosca o rimanere neutrali.
Questo schema, pur non esaurendo ogni dinamica internazionale, ne costituiva il perno. La Guerra Fredda si basava sull’assunto che un’invasione russa dell’Europa occidentale rappresentasse una minaccia reale per gli Stati Uniti, rendendo la NATO e le forze americane indispensabili per fermare un eventuale attacco sovietico.
La Guerra Fredda però non è finita con la caduta dell’Unione Sovietica e del comunismo: è finita con l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. L’invasione, condotta su quattro fronti – est, nord, centro e sud, mirava a occupare l’intero Paese.
La Russia, tuttavia, non è riuscita a raggiungere l’obbiettivo nei modi e nei tempi prestabiliti, segnando così la vera fine della Guerra Fredda. Questo ha rivelato l’impossibilità russa di rappresentare una minaccia credibile per l’Europa occidentale (nel caso questo fosse mai stato nei piani russi). L’Ucraina, pur supportata da forniture occidentali, ha resistito senza truppe straniere sul campo, dimostrando che la Russia non ha la capacità di invadere e occupare l’Europa senza una ricostruzione militare che richiederebbe decenni.
Questo evento ha smantellato il fondamento stesso della Guerra Fredda: la presunta capacità russa di invadere e occupare stabilmente l’Europa. Di conseguenza, il sistema geopolitico globale, ancorato per decenni a questa minaccia, si è dissolto, aprendo le porte a un Nuovo Ordine Mondiale.
La forza degli Stati Uniti si basa su una realtà geografica unica. Gli Stati Uniti sono la potenza dominante in Nord America con un margine schiacciante. Sono uno dei pochi Paesi al mondo, e l’unica grande potenza, che non può essere invaso via terra.
Con Canada a nord e Messico a sud, gli Stati Uniti sono protetti da due oceani, Atlantico e Pacifico, che fungono da barriere naturali più efficaci di qualsiasi confine terrestre. Questa realtà è stata codificata nel 1890 da Alfred Thayer Mahan, il cui libro “L’influenza del potere marittimo sulla storia” rimane il pilastro della strategia americana.
La sicurezza nazionale degli Stati Uniti dipende dal controllo dei mari. Finché gli Stati Uniti mantengono il dominio marittimo, la loro sicurezza è garantita, e il loro interesse primario si concentra sull’evitare minacce provenienti da Oriente.
Questa logica ha guidato le scelte americane nel corso del XX secolo. Gli Stati Uniti entrarono nella Prima Guerra Mondiale non per ragioni morali, ma solo dopo che i sottomarini tedeschi minacciarono le rotte atlantiche, culminando nell’affondamento del Lusitania.
Nella Seconda Guerra Mondiale, furono l’attacco giapponese a Pearl Harbor e il timore che la Germania potesse controllare la Royal Navy britannica a spingere Washington a intervenire.
Durante la Guerra Fredda, il pericolo era che l’Unione Sovietica, conquistando l’Europa, potesse accedere ai porti atlantici, costruendo una marina capace di sfidare gli Stati Uniti a casa loro. Gli Stati Uniti affrontarono la contrapposizione da una posizione ideologica, ma la realtà geopolitica fondamentale era questa.
Oggi, con la fine della minaccia sovietica, questa logica è superata. La fine della Guerra Fredda significa che la minaccia all’Atlantico è scomparsa. Nel Pacifico, la Cina rappresenta una minaccia potenziale, ma la sua capacità navale è ancora limitata, incapace di sfidare il dominio americano.
La Cina, ad esempio, non può navigare con sicurezza le sue navi da guerra in acque facilmente raggiungibili dai droni americani. Gli Stati Uniti, quindi, si trovano in una posizione di forza: controllano l’Atlantico e affrontano solo un rischio limitato nel Pacifico.
Questo permette una ridefinizione radicale della loro strategia globale.
Dal piano Marshall alla guerra tariffaria
La fine della Guerra Fredda ha segnato una svolta epocale per gli Stati Uniti, liberandoli dalla necessità di mantenere una presenza militare imponente in Europa e nel Pacifico.
Questo cambiamento non si limita al piano militare, ma si estende a una profonda revisione del ruolo economico globale degli Stati Uniti, con implicazioni significative per la solidità finanziaria della NATO e per le dinamiche geopolitiche globali.
Durante la Guerra Fredda, l’economia americana è stata uno strumento strategico fondamentale: il Piano Marshall, con i suoi 13 miliardi di dollari (circa 135 miliardi di dollari odierni) investiti tra il 1948 e il 1952, non solo ricostruì le economie europee devastate dalla Seconda Guerra Mondiale, ma consolidò l’influenza statunitense, creando un blocco di alleati economicamente stabili e politicamente allineati contro l’Unione Sovietica. Parallelamente, l’accesso privilegiato al mercato americano garantì crescita e prosperità agli alleati, fungendo da barriera contro l’espansionismo sovietico.
All’epoca, la debolezza strutturale dell’Unione Sovietica risiedeva nella sua economia centralizzata e inefficiente, mentre la forza degli Stati Uniti si fondava sulla loro capacità di utilizzare la prosperità economica come leva geopolitica.
Oggi, tuttavia, questo modello è diventato obsoleto. Gli Stati Uniti stanno ripensando il loro approccio al commercio globale, cercando di correggere squilibri commerciali che per decenni hanno favorito gli alleati a scapito dell’economia interna. Secondo i dati del Dipartimento del Commercio statunitense, nel 2024 il deficit commerciale degli Stati Uniti aveva raggiunto i 1.211 miliardi di dollari.
Un esempio emblematico di questa vulnerabilità è il rapporto con la Cina. Durante la Guerra Fredda, l’apertura economica alla Cina, avviata negli anni ’70, aveva l’obiettivo di allontanarla dall’orbita sovietica. Tuttavia, questa strategia ha avuto conseguenze impreviste: oggi gli Stati Uniti dipendono fortemente da componenti industriali e tecnologici cinesi, come semiconduttori e terre rare, essenziali per settori strategici come la difesa, l’elettronica e le energie rinnovabili.
Secondo un rapporto del 2023 del Congressional Research Service, la Cina controlla circa il 70% della produzione globale di terre rare, fondamentali per la produzione di batterie, turbine eoliche e sistemi d’arma avanzati. Un eventuale embargo cinese su questi materiali, simile a quello petrolifero arabo del 1973, potrebbe innescare una crisi economica devastante, con ripercussioni globali.
Per mitigare questa dipendenza, gli Stati Uniti hanno adottato misure protezionistiche. Sebbene le misure più recenti siano state in gran parte sospese o negoziate, rispondono a una necessità geopolitica chiara: ridurre la vulnerabilità strategica e rilocalizzare la produzione di componenti critici.
Questo approccio si inserisce in una strategia più ampia di “reshoring” e “friendshoring”, volta a riportare la produzione in patria o in paesi alleati affidabili.
In questo contesto, la solidità finanziaria della NATO, che dipende in modo significativo dal contributo economico e militare degli Stati Uniti, appare meno certa. Gli Stati Uniti hanno storicamente hanno coperto il 70% delle spese totali, con un contributo di circa 860 miliardi di dollari al bilancio militare dell’alleanza nel 2023, secondo i dati ufficiali.
Tuttavia, il crescente focus degli Stati Uniti sul ribilanciamento economico e sulla competizione con potenze come la Cina ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità di questo impegno. La necessità di investire in settori strategici interni, come l’industria manifatturiera o le infrastrutture energetiche e tecnologiche, ha spinto Washington a richiedere un maggiore contributo finanziario agli alleati europei, molti dei quali non raggiungono ancora l’obiettivo del 2% del PIL per le spese militari concordato.
Questo ribilanciamento non implica un abbandono dell’alleanza, ma piuttosto una ridefinizione delle priorità. Gli Stati Uniti stanno spingendo per un’Europa militarmente più autonoma, capace di assumersi maggiori responsabilità nella propria difesa.
Il disimpegno economico e militare degli Stati Uniti riflette un nuovo paradigma globale, in cui la competizione economica e tecnologica con potenze come la Cina ha assunto una centralità senza precedenti. Questo cambiamento richiede un ribilanciamento delle risorse e delle priorità militari tradizionali, in quanto gli Stati Uniti non possono più permettersi di sostenere squilibri commerciali e dipendenze strategiche che ne minano la sicurezza nazionale. Al contempo, gli alleati devono adattarsi a un mondo in cui il supporto americano non è più un fatto certo, ma una variabile negoziata.
La leadership tecnologica americana come leva geopolitica
In questo contesto di transizione geopolitica, gli Stati Uniti stanno sfruttando la loro supremazia nell’intelligenza artificiale e nella space economy per consolidare il loro dominio globale, costringendo le nazioni a scegliere tra un’alleanza con Washington o il rischio di rimanere indietro nella Quarta Rivoluzione Industriale.
Il nuovo corso tra Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti rappresenta un caso emblematico di questa strategia, dove l’AI e la tecnologia avanzata non sono solo strumenti di accesso, ma di dominio.
Diversi gli eventi recenti sui quali riflettere.
Il successo diplomatico in Medio Oriente e la partnership USA-UAE: il recente viaggio del presidente Trump in Arabia Saudita, Qatar e Abu Dhabi ha segnato un punto di svolta nella collaborazione tecnologica tra Stati Uniti ed UAE.
Gli Emirati, nel cuore dei deserti ricchi di petrolio del Medio Oriente, stanno perseguendo una missione per stabilire la supremazia nel campo dell’intelligenza artificiale, mentre gli Stati Uniti, guidati da Trump, mirano a far dominare le aziende americane nella corsa globale all’AI. Sebbene i loro obiettivi siano separati da continenti, le loro ambizioni sono straordinariamente allineate.
Gli Stati Uniti producono i chip semiconduttori più avanzati al mondo, mentre gli UAE e i paesi del Golfo hanno l’energia abbondante e a basso costo necessaria per alimentare enormi data center per l’AI.
Alleati da mezzo secolo, gli UAE hanno accolto Trump con un entusiasmo senza precedenti e impegni di investimento, molti dei quali focalizzati su tecnologia. Soltanto durante la visita, sono stati annunciati accordi commerciali per oltre 200 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, portando il totale degli accordi di investimento nella regione del Golfo a oltre 2 trilioni di dollari.
Il Progetto Stargate è un veicolo di investimento da 500 miliardi di dollari incentrato sull’AI, annunciato da OpenAI a gennaio in collaborazione con la società di investimento di Abu Dhabi MGX e SoftBank del Giappone.
Le aziende hanno dichiarato che un data center AI da 200 megawatt sarà avviato ad Abu Dhabi nel 2026, garantendo agli UAE l’accesso ai chip più avanzati di Nvidia, alla tecnologia e al software americani. Questo tipo di accordo sarebbe stato limitato dalle restrizioni della precedente amministrazione statunitense, ma Trump ha rivisto l’approccio sulle esportazioni tecnologiche, abolendo le regole dell’era Biden, che imponevano controlli rigorosi sull’esportazione di chip avanzati anche verso nazioni amiche.
“Compute, not crude, is going to be the central pillar of the U.S.-Gulf relationship,” ha affermato Mohammed Soliman del Middle East Institute, sottolineando che la relazione USA-Golfo si sta spostando verso questioni tecniche legate a AI, data center e chip, un cambiamento epocale rispetto al passato dominato dall’energia e dalle armi.
Il ruolo di Palantir nella NATO e nel mondo Occidentale: aziende come Palantir stanno giocando un ruolo centrale nel rafforzare la leadership tecnologica americana.
Palantir, con le sue piattaforme di analisi dei dati basate su AI, è diventata un pilastro per la NATO e i governi occidentali, fornendo strumenti per la gestione di dati complessi, la sicurezza nazionale e le operazioni militari.
La sua integrazione nei sistemi di difesa occidentali non solo rafforza la capacità operativa degli alleati, ma crea una dipendenza tecnologica che lega i partner stessi agli Stati Uniti.
Questo posizionamento rende Palantir un esempio emblematico di come l’AI americana stia diventando un’infrastruttura critica per il mondo occidentale, consolidando il dominio geopolitico degli USA.
La dipendenza cinese dai chip americani: la Cina, nonostante i suoi progressi nell’AI, rimane fortemente dipendente dai chip avanzati prodotti negli Stati Uniti o da alleati come Taiwan.
Gli Stati Uniti hanno il coltello dalla parte del manico in questa competizione tecnologica, poiché controllano l’accesso a semiconduttori essenziali per lo sviluppo di modelli di AI avanzati e per tecnologie spaziali all’avanguardia.
Le restrizioni sulle esportazioni di chip imposte dagli USA hanno costretto la Cina a cercare alternative interne, ma queste sono ancora lontane dalla qualità e dalla scalabilità dei chip occidentali.
Questa leva tecnologica permette agli Stati Uniti di esercitare pressioni geopolitiche, spingendo le nazioni a scegliere tra l’accesso alla tecnologia americana e l’isolamento tecnologico.
AI sovrana: gli Emirati hanno fatto una chiara scelta strategica, puntando su un futuro guidato dall’AI americana.
La compagnia emiratina G42, con partnership significative con OpenAI, Nvidia e Microsoft, ha completamente disinvestito da aziende cinesi, incluso un investimento stimato di 100 milioni di dollari in ByteDance, proprietaria di TikTok, per evitare sanzioni del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti e mantenere l’accesso ai chip Nvidia e ad altre tecnologie americane.
Lo sviluppo del modello di linguaggio Falcon AI rappresenta un passo importante per gli UAE, ma anche la base per le loro ambizioni geopolitiche ed economiche di dominare il mercato dell’AI entro il prossimo decennio, rafforzando il loro ruolo nelle discussioni globali sulla governance tecnologica.
La space economy come nuova frontiera geopolitica: valutata a oltre 400 miliardi di dollari nel 2024 e prevista a oltre i 1.000 miliardi entro il 2030, rappresenta una nuova arena di competizione globale.
Gli Stati Uniti, grazie a società private come SpaceX, Blue Origin e Rocket Lab, dominano l’accesso allo spazio, i lanci satellitari e l’esplorazione planetaria.
SpaceX, ad esempio, con il suo razzo Starship e la rete Starlink, sta rivoluzionando la connettività globale e la capacità di proiezione nello spazio, rafforzando la supremazia americana.
La collaborazione tra NASA e il settore privato ha permesso agli USA di mantenere un vantaggio competitivo su Cina e Russia, che faticano a eguagliare l’efficienza e l’innovazione del modello americano.
Inoltre, la space economy è strettamente legata all’AI, poiché l’analisi dei dati spaziali e l’automazione delle missioni richiedono tecnologie avanzate, dove gli Stati Uniti eccellono.
Questa leadership nello spazio non è solo tecnologica, ma anche geopolitica, poiché il controllo delle infrastrutture spaziali (satelliti, comunicazioni, risorse extraterrestri) diventa un fattore di potere globale nelle guerre.
In questo scenario, gli Stati Uniti stanno costruendo un’infrastruttura globale in cui la tecnologia diventa fattore di attrazione e coercizione. Le nazioni che vogliono partecipare alla Quarta Rivoluzione Industriale devono allinearsi con Washington, accettando le sue condizioni economiche e geopolitiche, evidenziando la preferenza per un’AI “democratica” guidata dagli Stati Uniti rispetto a un modello come quello cinese.
Questo non solo rafforza la posizione degli USA, ma crea un nuovo sistema di alleanze basato sulla dipendenza tecnologica, sulla scia di quanto fatto da Nvidia a livello aziendale con la sua infrastruttura.
Una convergenza di crisi
Come afferma George Friedman, gli Stati Uniti si trovano a un bivio storico. Che pone ora tre imperativi: porre fine alla crisi sociale delle guerre culturali; riparare le realtà economiche che sono diventate obsolete; e trasformare un sistema istituzionale “vecchio”.
A questi si aggiunge un quarto imperativo: consolidare la leadership tecnologica, inclusa quella nella space economy e nell’AI, per mantenere il dominio geopolitico.
La storia americana può essere interpretata attraverso cicli ricorrenti: in particolare, un ciclo istituzionale di ottant’anni che ha plasmato l’identità nazionale (evidente in tre momenti chiave: la Guerra d’Indipendenza e la fondazione, la Guerra Civile e la Seconda Guerra Mondiale) e un ciclo socio-economico di cinquant’anni, che ha visto l’emergere delle classi industriali, dei baby boomer e della classe media.
Entrambi questi cicli convergeranno verso la fine degli anni 2020, un periodo in cui molte delle fondamenta attuali subiranno trasformazioni.
La crisi sociale interna, alimentata dalle “culture wars”, richiede una riconciliazione nazionale. L’economia americana, indebolita dalla dipendenza da importazioni e da squilibri commerciali, necessita di una ristrutturazione. Le istituzioni, costruite per un mondo ormai scomparso, devono essere riformate. A livello globale, il disimpegno americano sta creando turbolenze, ma è un passo necessario per ridurre i rischi e i costi di un coinvolgimento eccessivo. Gli Stati Uniti hanno un imperativo geopolitico di disimpegnarsi dai rischi e dagli oneri imposti dal loro coinvolgimento in guerre globali, mentre rafforzano il loro vantaggio tecnologico come leva di potere.
Verso la calma dopo la tempesta
Questa transizione non è priva di caos. L’evoluzione di questi modelli è sia dirompente che poco compresa, a causa della percezione che le forze della necessità geopolitica sembrino meno deterministiche delle forze economiche. Tuttavia, la storia dimostra che le forze impersonali della geopolitica plasmano la realtà, superando le preferenze umane. Le forze dell’umanità nel suo complesso generano pressioni impersonali che superano le preferenze umane mentre definiscono la realtà.
A differenza della fine dell’era europea nel 1945, che segnò il passaggio del centro del potere globale agli Stati Uniti, oggi gli USA rimangono al centro del sistema mondiale. Le turbolenze non sono l’inizio della tempesta, ma l’ultima tempesta prima di una nuova calma. Le turbolenze attuali sono solo l’ultimo capitolo di un ciclo, il preludio a un nuovo equilibrio geopolitico ed economico, in cui la leadership tecnologica americana giocherà ancora un ruolo cruciale di primo piano.
La leadership degli Stati Uniti nel campo dell’intelligenza artificiale, della space economy e delle tecnologie emergenti non è solo una questione di supremazia tecnologica, ma un pilastro strategico per consolidare la loro influenza geopolitica ed economica a livello globale.
Questo sistema non solo risponde alle crescenti capacità missilistiche di potenze come Cina, Russia, Corea del Nord e Iran, ma segna anche un passo significativo verso la militarizzazione dello spazio, sollevando critiche internazionali, in particolare da Pechino, che lo considera una “minaccia alla stabilità globale”. Tuttavia, per Trump, il Golden Dome è un simbolo della politica “America First”, un baluardo contro le minacce esterne e un catalizzatore per l’innovazione tecnologica.
SpaceX, in particolare, propone un modello innovativo di “servizio in abbonamento” per il sistema, mantenendo la proprietà dell’hardware e consentendo al governo di accedere alla tecnologia senza acquisirla direttamente. Questo approccio potrebbe accelerare lo sviluppo in maniera esponenziale.
L’AI richiede enormi quantità di elettricità: una singola ricerca su modelli avanzati come ChatGPT consuma fino a dieci volte l’energia di una ricerca su Google. Per soddisfare questa domanda, prevista raggiungere i 35 gigawatt entro il 2030, big tech come Microsoft, Google e Amazon stanno investendo in reattori nucleari, inclusi i piccoli reattori modulari (SMR).
“Siamo di fronte a una convergenza tecnologica senza precedenti. Abbiamo più volte evidenziato il ruolo cruciale della Quarta Rivoluzione Industriale, un fenomeno trainato dalla sinergia tra tecnologie innovative. Questo trend non è solo strategico per la nostra professione, ma rappresenta un’opportunità imperdibile per gli investitori che vogliono posizionarsi al centro di questa trasformazione epocale.
Inoltre, il 5 maggio, durante un webinar riservato ai nostri clienti, ho sottolineato che stiamo entrando in una crisi energetica e che il governo probabilmente interverrà per affrontarla, con progetti come Stargate. I settori chiave da monitorare sono il nucleare, i miner di Bitcoin e l’idrogeno.
Il portafoglio THÉMA include già diversi titoli legati alla trasformazione geopolitica, energetica e tecnologica in atto, e altri sono pronti a entrare non appena si presenteranno le condizioni ideali, forse già nelle prossime settimane.
Non perdere l’occasione di guadagnare dalla rivoluzione che sta definendo il Nuovo Ordine Mondiale: difesa AI, nucleare, bitcoin, robotica, economia dello spazio, intelligenza artificiale e tecnologie innovative offriranno opportunità di guadagno irripetibili a chi sapra coglierle.
Efisio Garau
Head of Fundamental Analysis
Trend Positioning Research Institute
Ricercatore dei mercati finanziari con oltre 10 anni di esperienza sul campo, Efisio è lo specialista delle analisi fondamentali e macroeconomiche.
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Il background economico, l’esperienza presso una banca d’affari e l’impegno empirico rappresentano una “marcia in più” per le attività dell’istituto.
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